La manifestazione organizzata dal Movimento 5 Stelle il 5 aprile a Roma ha fatto rumore. Ma il silenzio dei media mainstream — o peggio, la loro reazione — ha fatto ancor più rumore. È questa l’analisi, ironica e impietosa, che Andrea Scanzi firma in un editoriale uscito sul Fatto Quotidiano, dove decostruisce uno per uno i meccanismi di delegittimazione messi in atto per ridimensionare il successo dell’evento. Un attacco diretto al sistema mediatico e alla sua “miopia devastante”, tra sarcasmo, memoria storica e critica politica.
La strategia del silenzio: “Tecnica del non parlarne”
Il primo capitolo del “Prontuario della Delegittimazione”, come lo chiama Scanzi, è tanto semplice quanto efficace: non parlarne. Molti grandi giornali, sottolinea l’autore, hanno scelto di ignorare completamente la manifestazione, non riservandole neppure uno spazio in prima pagina. Nessuna foto, nessun titolo. Eppure, bastava un congiuntivo sbagliato di Conte per aprire le edizioni online. “Wow, che professionalità!”, commenta sarcasticamente Scanzi, rievocando il trattamento riservato in passato ad altre iniziative populiste, come il primo V-Day.
La memoria corta dei media: “Tecnica del V Day”
A quasi vent’anni dal primo Vaffa Day, secondo Scanzi, i media italiani non hanno imparato nulla. Continuano a sottovalutare i segnali che provengono dal basso, dalla “gente vera” lontana dai salotti televisivi. All’epoca nessuno fiutò il treno in arrivo. Oggi, la storia si ripete. Mentre le testate inseguono leader minoritari come Renzi e Calenda, ignorano – per paura o disprezzo – una nuova ondata di consenso popolare che torna a farsi sentire nelle piazze.
Il bersaglio facile: “Tecnica della Tiktoker Irricevibile”
Altro strumento ricorrente per screditare una piazza: cercare la pecora nera e trasformarla in emblema del gregge. In questo caso, è bastata la presenza di una tiktoker considerata “irricevibile” per provare a delegittimare l’intero evento. Un trucco vecchio, sostiene Scanzi, fatto di “disonestà intellettuale a quintali” e utile a evitare ogni confronto con la sostanza dei messaggi politici.
Satira e disprezzo: “Tecnica del Prendere Per I Fondelli”
I manifestanti? “Pacifinti”, “putiniani”, “comunità hippy”. Gli epiteti si sprecano, e l’ironia usata contro di loro è velenosa. Chiunque esprima posizioni alternative rispetto alla linea atlantista o si schieri per la pace, viene ridicolizzato. In questo gioco al massacro, scrive Scanzi, non importa avere ragione o portare proposte: basta non essere allineati per essere insultati.
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L’equivalenza forzata: “Tecnica del Sono Come Salvini”
Una delle strategie più azzardate, secondo l’editorialista, è quella di equiparare chi manifesta per la pace con Salvini. Anche se sul palco c’erano personalità come Vauro, Barbero, Santoro, Montanari o l’ANPI, il racconto dominante ha cercato di ridurre tutto a un’alleanza innaturale con la destra. Un’accusa che Scanzi definisce assurda e strumentale, volta a delegittimare chiunque si opponga alle politiche belliciste dell’UE o della NATO.
Il luogo comune evergreen: “Tecnica del Piazze Piene Urne Vuote”
Vecchio cavallo di battaglia del commento snob: riempire le piazze non significa conquistare voti. Ma la storia recente del M5S dimostra il contrario, ricorda Scanzi. Le grandi mobilitazioni del 2013 e del 2018 hanno coinciso con risultati elettorali straordinari. Eppure, la stampa ha celebrato ben più calorosamente la recente adunata di Serra, pur se meno partecipata. Due pesi, due misure.
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L’ossessione anti-grillina: “Tecnica del Fare Il Gioco dei 5 Stelle”
In conclusione, Scanzi smonta quella che considera la più miope delle strategie: trattare sistematicamente i 5 Stelle come un corpo estraneo, “rognoso”, da emarginare. Ogni volta che questo meccanismo è stato messo in atto, sostiene, il Movimento ha rialzato la testa. È la loro linfa vitale, il loro “brodo naturale”. E gli “haters”, conclude con sarcasmo, non fanno altro che aiutarli.
Considerazioni finali
Con il suo consueto stile tagliente, Andrea Scanzi denuncia un giornalismo pigro, autoreferenziale e spesso in malafede, incapace di comprendere ciò che si muove fuori dai palinsesti e dalle redazioni. L’editoriale non è solo una difesa della piazza del 5 aprile, ma anche un atto d’accusa contro un sistema mediatico che ha smarrito il senso del proprio mestiere. E che, per paura o arroganza, continua a voltarsi dall’altra parte. Ma le piazze, quando parlano, fanno rumore lo stesso.