Marco Travaglio alza il tono e accusa frontalmente Benjamin Netanyahu di essere il principale responsabile del caos mediorientale e di un’escalation bellica che rischia di trascinare il mondo intero verso un conflitto globale. Con la consueta durezza, il direttore del Fatto Quotidiano smonta la retorica della “legittima difesa” israeliana, denuncia la complicità silente dell’Occidente – e in particolare di Italia e Unione Europea – e mette in guardia: “La linea del governo Meloni ci espone al rischio diretto di attentati”.
Netanyahu: “il più efferato terrorista del mondo”
Per Travaglio, il premier israeliano non è un leader democratico che difende il proprio Paese, bensì un autocrate disperato che ha fatto della guerra permanente uno strumento per evitare la propria caduta politica. “Benjamin Netanyahu è riuscito a rinviare un’altra volta la sua fine politica con l’unico sistema che conosce: la guerra”, scrive il giornalista, elencando sette fronti aperti in venti mesi: Gaza, Cisgiordania, Iran, Libano, Siria, Iraq, Yemen.
La guerra contro Hamas, l’attacco a obiettivi iraniani, il bombardamento di presunti siti Hezbollah: ogni azione è secondo Travaglio parte di un’unica strategia cinica e personale. “Una guerra privata mascherata da legittima difesa”, scrive, nella quale Israele si comporta come “l’Impero del Bene” che può tutto, mentre agli altri si nega perfino il diritto all’autodifesa.
L’ipocrisia dell’Occidente: “Se fosse nemico, potremmo ignorarlo”
L’editoriale punta il dito contro la doppia morale degli alleati occidentali. “La litania dell’aggressore e dell’aggredito vale per la Russia e l’Ucraina, non per Israele e i suoi vicini”, scrive Travaglio, sottolineando l’assenza totale di sanzioni contro Tel Aviv, nonostante le sue azioni militari devastanti.
Se Mosca è stata isolata con provvedimenti economici e politici senza precedenti, Israele continua a godere della protezione degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, anche quando viola platealmente il diritto internazionale. Ed è proprio questa protezione a rendere i Paesi occidentali corresponsabili: “Essendo nostro alleato, Israele ci rende complici dei suoi crimini”, afferma Travaglio, avvertendo che questa alleanza ci espone anche al mirino del terrorismo islamico.
“Trump si dissocia, l’Ue si genuflette, l’Italia disegna un bersaglio su di noi”
L’analisi si sposta poi sul contesto internazionale. Travaglio riconosce che Donald Trump, pur avendo difeso Israele in passato, si è mostrato prudente sull’attacco agli impianti nucleari iraniani: “Prende le distanze, ma non molla l’alleato fuori controllo”, scrive. Tuttavia, secondo Travaglio, è l’Europa a deludere maggiormente, incapace di costruire una politica estera autonoma e costruttiva: “Invece di chiudere la guerra in Ucraina e dialogare con Russia e Cina, l’Ue si appiattisce su Israele”.
Ma è sull’Italia che Travaglio affonda il colpo più duro. Accusa Giorgia Meloni, Antonio Tajani e il governo tutto di aver tradito la storica vocazione italiana a fungere da ponte tra l’Occidente e il mondo arabo. “Dagli anni ’70, l’Italia è stata l’ultimo obiettivo del terrorismo islamico. Ora, con questa linea, disegnano un bersaglio sulla schiena di tutti noi cittadini.”
Una proposta radicale: rompere i rapporti con Israele finché governa Netanyahu
L’editoriale non si limita alla denuncia: Travaglio formula una proposta politica chiara e radicale. Secondo il giornalista, l’Italia e l’Unione Europea dovrebbero:
Interrompere ogni rapporto politico e militare con Israele finché sarà guidato da Netanyahu;
Chiudere la guerra in Ucraina, ormai diventata un pantano inutile e pericoloso;
Ricostruire un dialogo con Russia e Cina, coinvolgendole in un negoziato globale per la stabilità;
Promuovere un nuovo equilibrio internazionale che disinneschi la “guerra mondiale a pezzi” evocata più volte da papa Francesco.
Un monito alla politica italiana: “Condannatelo almeno per noi”
In conclusione, Travaglio lancia un appello accorato, rivolto persino a chi non ha mai condannato lo sterminio di Gaza. “Se non avete osato finora farlo per i gazawi sterminati – scrive – fatelo almeno per noi italiani”. Un’esortazione che sa di disperazione, ma anche di realismo: la linea del governo Meloni ci espone a rischi concreti e immediati. L’Italia – è l’avvertimento – potrebbe passare da mediatore a bersaglio.
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Un editoriale che rompe il silenzio
Con “Non in nostro nome”, Marco Travaglio rompe un tabù che gran parte del mainstream evita di toccare: l’ambiguità occidentale verso le violenze israeliane, la deresponsabilizzazione morale dell’alleanza atlantica, l’assenza di un’alternativa diplomatica credibile. È un testo duro, controverso, che sicuramente farà discutere. Ma che, in un panorama informativo sempre più omologato, si distingue per chiarezza, coerenza e – che lo si condivida o no – coraggio.