Il Governo Meloni promette stipendi più alti, ma nelle tasche dei cittadini arrivano meno soldi. È questo il paradosso denunciato da Stefano Buffagni (M5S), che ha rilanciato l’allarme lanciato dall’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB) sul cosiddetto “fiscal drag”, ovvero il drenaggio fiscale che si abbatte in modo sproporzionato sui lavoratori dipendenti, erodendo il potere d’acquisto.
> “Serve un fisco più giusto, non una riforma che promette di dare ma finisce per togliere”, scrive Buffagni in un post molto duro, accompagnato da una foto significativa di Salvini e Meloni al banco del governo.
Il problema del drenaggio fiscale
A spiegare bene la situazione è stata Lilia Cavallari, presidente dell’UPB, che in Senato ha illustrato gli effetti delle riforme fiscali adottate dal governo: in teoria, con l’aumento degli stipendi e il taglio del cuneo fiscale, i lavoratori avrebbero dovuto ritrovarsi con più soldi. In pratica, molti italiani guadagnano qualcosa in più lorde, ma si ritrovano con meno soldi netti in busta paga.
Il motivo? Il drenaggio fiscale. Quando gli stipendi aumentano, anche se di poco, si rischia di salire negli scaglioni Irpef, con aliquote più alte e la perdita di bonus o detrazioni. In altre parole: lo Stato prende più tasse, e il lavoratore non beneficia davvero dell’aumento.
Secondo l’UPB, due soli punti percentuali di inflazione generano 370 milioni di euro in tasse in più rispetto al 2022. Un fiume di denaro che finisce nelle casse dello Stato, ma viene sottratto soprattutto ai lavoratori dipendenti.
Stipendi contro inflazione: la lotta persa
I numeri confermano questa dinamica: tra il 2021 e il 2025 l’inflazione è cresciuta del 16,8%, ma le retribuzioni medie sono aumentate solo dell’8,2%. Un incremento che non riesce a tenere il passo con l’aumento del costo della vita e che, per giunta, viene in parte annullato dall’impatto fiscale.
Il risultato? Operai e impiegati pagano ogni anno decine di euro in più, senza vedere reali benefici. Nel 2022, un operaio medio pagava 67 euro in più di tasse a fronte di un’inflazione del 2%. Oggi, con l’inflazione più alta, la cifra è salita a 79 euro. Per un impiegato si passa da 116 a 141 euro in più.
Il conto lo pagano i lavoratori
A essere penalizzati, ancora una volta, sono i redditi fissi e medio-bassi. “Chi vive di reddito fisso non solo non ha recuperato la perdita del potere d’acquisto, ma paga di più al fisco”, denuncia Christian Ferrari, segretario confederale della Cgil. E mentre il drenaggio fiscale colpisce i dipendenti, per altri il trattamento è ben diverso: flat tax, condoni, concordati preventivi – strumenti che favoriscono chi ha redditi variabili o chi evade le imposte.
Una riforma rovesciata
Il governo Meloni aveva promesso una riforma fiscale equa, pensata per aiutare i redditi bassi e rilanciare il ceto medio. Ma i dati mostrano una realtà opposta: l’intervento sull’Irpef e la stabilizzazione del taglio al cuneo fiscale non bastano a compensare l’effetto dell’inflazione e il peso della tassazione progressiva non adeguata.
La vera soluzione, come sottolinea l’UPB, sarebbe l’indicizzazione degli scaglioni Irpef e delle soglie di detrazione, ma questa misura ha un costo elevato. Il governo, per ora, ha preferito rinviare.
Buffagni: “Si promette, ma si toglie”
“Questo è il paradosso di una manovra che doveva sostenere i redditi bassi e invece li rende più fragili”, scrive Buffagni. L’ex deputato grillino si unisce così al coro delle opposizioni, che chiedono interventi correttivi reali, a partire da una vera riforma fiscale e dalla lotta all’evasione, anziché dai soliti tagli selettivi.
Nel frattempo, le famiglie italiane si trovano sempre più schiacciate tra inflazione, bollette, mutui e fisco. A parole, il governo Meloni difende il ceto medio. Nei fatti, taglia laddove dovrebbe sostenere. E il conto, ancora una volta, lo pagano i soliti noti.


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Conclusione
Nel quadro attuale, la riforma fiscale tanto sbandierata dal governo Meloni sembra aver tradito le attese di milioni di lavoratori. Invece di alleggerire la pressione su chi ha redditi medio-bassi, ha finito per aggravare la situazione, complice un meccanismo fiscale che non tiene conto dell’inflazione e penalizza proprio chi dovrebbe essere protetto. Le parole di Buffagni fotografano bene il paradosso: si promette più equità, ma si finisce per togliere a chi ha meno. E mentre il governo rinvia le vere soluzioni strutturali, come l’indicizzazione delle aliquote Irpef, il peso della crisi resta tutto sulle spalle di operai, impiegati e famiglie. Un cambiamento è ancora possibile, ma servono coraggio politico e scelte coerenti. Non slogan.