La condanna a otto mesi inflitta lo scorso febbraio ad Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia, ha finalmente ricevuto la sua motivazione ufficiale. E i giudici del Tribunale di Roma non usano mezzi termini: “Il segreto d’ufficio c’era e lui ne era consapevole”. Una sentenza che rappresenta un duro colpo per l’uomo politico di Fratelli d’Italia e, più in generale, per il governo Meloni, che ha difeso fin dall’inizio l’operato del suo esponente.
Una condanna simbolica ma politicamente esplosiva
La pena, pur essendo sospesa e priva di effetti detentivi immediati, assume un significato politico e giudiziario di grande rilievo. I giudici hanno riconosciuto che Delmastro ha violato consapevolmente il segreto d’ufficio trasmettendo al collega di partito Giovanni Donzelli informazioni coperte da riservatezza. Si trattava di documenti sensibili: i rapporti dei colloqui avvenuti in carcere tra l’anarchico Alfredo Cospito, allora in sciopero della fame e detenuto al 41-bis, e alcuni esponenti della criminalità organizzata.
Quelle stesse informazioni furono poi utilizzate da Donzelli in un intervento alla Camera dei Deputati, nel quale attaccò apertamente alcuni parlamentari del Partito Democratico, colpevoli – a suo dire – di essersi recati a far visita a Cospito in carcere.
I giudici: “Non poteva non sapere”
Il nodo centrale della sentenza è proprio la consapevolezza di Delmastro. Secondo il Tribunale, il sottosegretario, anche in virtù della sua esperienza da avvocato e del suo ruolo istituzionale, non poteva non sapere che le informazioni in questione erano soggette a segreto d’ufficio. La loro diffusione, scrivono i giudici, ha compromesso la riservatezza dell’attività investigativa e, più in generale, ha danneggiato la lotta alla criminalità organizzata.
Una posizione netta, che smentisce la linea difensiva adottata dallo stesso Delmastro e, in modo ancor più clamoroso, contrasta apertamente con la richiesta di assoluzione avanzata dalla procura, che aveva sostenuto l’insussistenza del reato.
Le reazioni politiche: silenzio o imbarazzo
In attesa del ricorso in appello annunciato dal diretto interessato, la maggioranza di governo per ora mantiene il profilo basso. Nessuna dichiarazione ufficiale da parte di Giorgia Meloni, che mesi fa aveva pubblicamente difeso Delmastro, sostenendo che l’intera vicenda fosse una “strumentalizzazione politica”.
Più dure invece le opposizioni. Dal Partito Democratico ai 5 Stelle, diversi esponenti chiedono che Delmastro faccia un passo indietro: “Un sottosegretario alla Giustizia condannato per violazione del segreto d’ufficio è un fatto gravissimo – ha dichiarato Elly Schlein – In un altro Paese si sarebbe già dimesso”.
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Prossime tappe: l’appello e l’ombra sul governo
Delmastro ha già annunciato che presenterà ricorso in appello, confidando in un ribaltamento del verdetto. Tuttavia, le motivazioni depositate dalla prima sezione penale del Tribunale di Roma rischiano di pesare non solo sulla sua posizione personale, ma anche sulla credibilità dell’intera compagine governativa.
Il caso resta emblematico di un conflitto tra interessi politici e rispetto delle regole istituzionali. E la giustizia, almeno in primo grado, ha tracciato una linea chiara: le regole valgono per tutti, anche per chi siede al governo.