ULTIM’ORA SHOCK – Governo nel mirino sotto inchiesta – Beccato sulle armi a… – INEDITO

Roma, 3 luglio 2025 – È destinata a far discutere, e molto, l’inchiesta firmata dalla giornalista freelance Elisa Brunelli e pubblicata su Altraeconomia, che solleva interrogativi pesantissimi sul ruolo dell’Italia nella guerra a Gaza e sulle sue esportazioni di materiali a duplice uso verso Israele.

Il report, ricco di dati, documenti e ricostruzioni, rivela che a partire dal 7 ottobre 2023 – la data che segna l’inizio della nuova fase di escalation tra Israele e Hamas – il nostro Paese è diventato uno dei maggiori esportatori di componenti strategici diretti a Tel Aviv.

Cordoni detonanti, nitrato di ammonio e trizio: ecco cosa ha esportato l’Italia

Al centro dell’inchiesta vi sono tre categorie di materiali:

Cordoni detonanti

Nitrato di ammonio

Trizio, isotopo radioattivo di estrema sensibilità, utilizzato tanto in campo medico quanto per applicazioni nucleari, comprese quelle belliche.

Secondo quanto emerge dall’indagine di Altraeconomia, questi materiali sono stati spediti in quantità significative con destinazione Israele. Si tratta di prodotti formalmente “a duplice uso”, ossia esportabili legalmente per scopi civili o industriali, ma che all’atto pratico possono facilmente essere impiegati per finalità militari.

Nello specifico, i cordoni detonanti e il nitrato di ammonio sono stati utilizzati – secondo l’inchiesta – per operazioni di demolizione controllata nei territori della Striscia di Gaza, in particolare per la distruzione di tunnel e infrastrutture urbane, provocando devastazioni estese.

Il dato più inquietante riguarda però il trizio: questa sostanza viene impiegata anche nei processi di rafforzamento degli ordigni nucleari e la sua esportazione, pur formalmente autorizzata, solleva interrogativi gravissimi sulla sua reale destinazione.

Il meccanismo dell’export e le lacune normative

L’indagine mette in luce il meccanismo attraverso cui queste esportazioni sono state approvate. In molti casi, le forniture sono state giustificate come materiali per la produzione di fertilizzanti o per l’industria civile, aggirando così i vincoli delle convenzioni internazionali e della normativa europea sul commercio di armamenti e materiali sensibili.

Un caso emblematico riguarda proprio il nitrato di ammonio, che può essere registrato come fertilizzante ma che, come noto, rappresenta anche un potente esplosivo in ambito militare.

“In alcuni casi – spiega Brunelli nel suo podcast di approfondimento – le esportazioni sono cresciute improvvisamente, con volumi molto superiori alla media storica. E sempre con destinazione Israele, proprio durante la fase più intensa del conflitto a Gaza”.

Governo italiano sotto accusa: tra dichiarazioni pubbliche e fatti

L’inchiesta evidenzia le forti contraddizioni tra le dichiarazioni del governo italiano e il suo operato. L’esecutivo di Giorgia Meloni, infatti, ha sempre sostenuto di voler mantenere una posizione di equilibrio e di rispetto del diritto internazionale nel conflitto israelo-palestinese. Tuttavia, i dati delle esportazioni raccontano tutt’altra storia.

L’Italia, secondo il report, si conferma come un attore di primo piano nel fornire materiali a uno degli eserciti più potenti al mondo, in un contesto segnato da pesanti accuse di violazioni dei diritti umani.

Le opposizioni hanno già chiesto chiarimenti. In particolare, il Movimento 5 Stelle e l’Alleanza Verdi e Sinistra hanno annunciato la presentazione di interrogazioni parlamentari, mentre Amnesty International ha chiesto l’apertura di un’inchiesta indipendente.

Un problema non solo legale ma soprattutto etico

Oltre al tema della legalità, il caso apre un fronte etico e politico. È infatti innegabile che anche l’esportazione di materiali “leciti” ma a chiaro rischio bellico alimenti una guerra che ha già provocato migliaia di vittime civili.

Come scrive Altraeconomia:

> “Lecite o illecite, queste esportazioni restano comunque amorali, perché rappresentano una scelta consapevole di alimentare un conflitto sanguinoso in cambio di vantaggi economici per il settore militare e industriale”.

Il dibattito si infiamma, ma il governo tace

Al momento, né il ministero degli Esteri né il ministero della Difesa hanno commentato ufficialmente la notizia. Tuttavia, la pressione politica è destinata a crescere nelle prossime ore, con richieste di audizioni parlamentari e l’ipotesi di coinvolgimento della magistratura.

L’inchiesta di Altraeconomia rischia così di aprire una nuova, delicata faglia nella politica estera italiana, mettendo a nudo il doppio standard tra parole e fatti in materia di pace e commercio di armi.

Resta un’ombra sulla diplomazia italiana

In attesa di risposte ufficiali, resta una domanda di fondo: fino a che punto l’Italia è disposta a sacrificare la propria credibilità internazionale in cambio di commesse e contratti strategici, soprattutto in uno dei conflitti più controversi del nostro tempo?

L’inchiesta ha solo sollevato il coperchio. Ma la questione, ora, è sul tavolo di governo, Parlamento e opinione pubblica. E difficilmente potrà essere ignorata ancora a lungo.

La vicenda sollevata dall’inchiesta di Altraeconomia mette l’Italia di fronte a una realtà scomoda, che va ben oltre la sola legalità delle esportazioni. Non si tratta solo di stabilire se un permesso o una licenza fosse formalmente corretto: qui la questione è più profonda, e riguarda il tipo di ruolo che il nostro Paese vuole giocare sulla scena internazionale.

Da un lato, il governo si professa neutrale e impegnato per la pace; dall’altro, emerge una rete di esportazioni che alimenta un conflitto già devastante, con gravi sospetti sull’impiego effettivo di materiali italiani in operazioni militari a Gaza.

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La politica, ora, non potrà più far finta di nulla. Il silenzio ufficiale di queste ore appare già una risposta, ma è evidente che la pressione crescerà, sia nelle sedi istituzionali che nell’opinione pubblica.

Il caso solleva un interrogativo che non può più essere aggirato: esiste ancora, per l’Italia, una linea di confine tra l’interesse economico e la responsabilità etica? Oppure la nostra diplomazia è disposta a sacrificare tutto, anche la propria credibilità internazionale, pur di restare parte di questo mercato bellico globale?

La risposta non potrà arrivare dai comunicati di facciata, ma dai fatti. E questa volta, sarà impossibile sfuggire al giudizio della storia.

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